sabato 22 febbraio 2020

Sa pippia de maju

Con il nome "sa pippia de maju" si designa il doppio mazzo di viole mammole, innestato su un lungo fascio di pervinca legato da un panno verde che, nel corso della Sartiglia, Su Componidori utilizza per benedire la folla con ampi gesti del braccio che vanno a formare una croce. Sa pippia 'e maju è un simbolo propiziatorio legato alla primavera e al rinnovamento vegetale che mira a palesare l'arrivo della stagione della rinascita, in un rito tangibile per la comunità.
Domani e Martedì, a Oristano,come ogni anno si rinnoverà ancora antico antico rituale.

La cassapanca sarda










  




Il corredo delle spose sarde è sempre stato un tesoro da preparare con cura sin dalla più tenera età delle bambine. Spesso, quando la "futura sposa" era ancora in fasce, le nonne già cominciavano a lavorare ad uncinetto il copriletto di cotone bianco che sarebbe stato usato il giorno del matrimonio e per la nascita dei figli. Le femminucce imparavano a tessere e ricamare e cucivano per tempo lenzuola, federe, tovaglie, tovaglioli e asciugamani. Chi aveva più possibilità economiche, commissionava i lavori alle ricamatrici più brave, così la "dote" che la sposa portava con se e che l'accompagnava nella sua nuova vita da moglie, era ancora più preziosa. Un tesoro prezioso che, come tale, veniva custodito dentro ad uno scrigno: la cassapanca. La sua diffusione ora è molto limitata ed i più giovani spesso non sanno nemmeno che cos'è, ma prima era un oggetto d'arredamento presente in ogni casa. Un antico bronzetto sardo custodito nel Museo Archeologico di Cagliari, rappresenta la miniatura di una cassapanca, suggerendo che il suo utilizzo fosse già "di moda" persino in epoca nuragica. Era uso costruirla con legno di castagno o noce sardo. Abili artigiani la intagliavano, impreziosendola con eleganti incisioni che rappresentavano pavoni, alberi e fiori della vita. Anticamente veniva verniciata di rosso, utilizzando sangue bovino oppure ovino: pare che, oltre a lasciare una patina protettiva ed essere un ottimo antitarlo, il sangue dell'animale sacrificato, fosse di buon auspicio per un matrimonio ed una vita prosperi e fertili. Quando i rappresentanti, a bordo di macchine cariche di scatole e valige, iniziarono a bussare di casa in casa proponendo biancheria già confezionata, cambiò tutto. Le mamme, invece d'insegnare alle figlie l'arte di farsi il corredo con le proprie mani, cominciarono a comprare tutto già pronto, spesso pagando le rate per molti anni. Piano piano, saper cucire, ricamare, lavorare ad uncinetto, non fu più necessario e divenne un semplice passatempo. Oggi, il corredo si acquista quando serve. La cassapanca che lo conteneva in attesa del giorno del matrimonio, è stata messa da parte e sostituita dai mobili moderni. Da tanto tempo, ormai, non accompagna più le spose nella vita matrimoniale. I tempi sono cambiati e le usanze sono state dimenticate. Chi ha la fortuna di avere una cassapanca in casa, acquistata direttamente da un artigiano o magari ricevuta in eredità da una nonna o una zia, spesso non sa di possedere un tesoro prezioso che per moltissimi secoli è stato il custode dei sogni, della felicità e dei segreti di tante spose della Sardegna.

Francesca Murgia

Ricordi di guerra

Quando il 17 febbraio 1943, i bombardieri americani sganciarono le bombe a frammentazione su Gonnosfanadiga, facendo strage di civili innocenti, erano convinti di essere giunti alla loro meta: l' aeroporto militare Trunconi - Su Campu 'e Pranu- che si trovava tra Serramanna e Villacidro. Quella fu solo la prima delle tante incursioni aeree. Alla gente, terrorizzata dal pericolo, non restava altro da fare che correre a ripararsi nei rifugi.
Rita, che ora ha 86 anni, allora ne aveva appena 13, ma ricorda bene delle lunghe ore trascorse nella stanzetta sotto casa sua
«Appena le campane della chiesa cominciavano a suonare, mamma acchiappava i miei fratellini più piccoli e correvamo tutti a metterci al sicuro. Solo mio fratello, che allora aveva 10 anni, si rifiutava di venire con noi: lui voleva vedere cosa succedeva, così scappava fuori e tornava solo dopo che l'attacco era finito. Nel nostro rifugio ci stavano una ventina di persone, perciò insieme a noi, a condividere la paura e l'attesa, c'erano sempre anche le nostre vicine di casa. All'ingresso si accendeva "sa lantia" e chi aveva più paura andava a mettersi infondo alla stanza che era fatta a forma di elle. Mi ricordo che mia mamma e le altre donne ci dicevano "Pregate, pregate!” e per tutta la durata dell'allarme, imploravano:
“Santa Brabara e Santu Jacu
Bosu potaisi is craisi de lampu
Bosu potaisi is craisi di cieu,
no tocheisi fillu alleu, ne in domu ne in su sattu,
Santa Brabara e Santu Jacu." e, mentre loro terrorizzate pregavano tutti i santi, noi ragazzini, che non capivamo la gravità della situazione,"si da pigaiausu ai spassiu" e ridevamo. Quando l'attacco finiva e finalmente lasciavamo il rifugio, arrivavano le notizie di ciò che era successo: qualche volta c'erano vittime tra le persone che erano a lavoro in campagna e non si erano potute nascondere, oppure capitava che aerei abbattuti cadessero vicino a Serramanna.»
Anche Agnese, che all'epoca era piccolina, si ricorda i momenti trascorsi nel rifugio «Nei muri mettevamo tante immaginette sacre affinché ci proteggessero e tutti insieme recitavamo “Santa Maria fa che gli inglesi perdano la via”» Nonostante le lacrime, la paura ed il dolore, tra i ricordi di Agnese riaffiora anche qualcosa di bello « Mi ricordo che tre soldati che stavano nelle casermette vicino a Sant'Angelo, si erano affezionati alla mia famiglia e venivano spesso da noi: portavano dei pacchi di pasta e mia mamma gliela cuoceva. Erano giovanissimi e avevano paura, proprio come noi. Uno di loro, alla fine della guerra non è più andato via: ha trovato l'amore e si è sposato con una ragazza di Serramanna.»
Francesca Murgia